TRATTO DA L'ESPRESSO N° 46 DEL 20/11/2008
Linate perde la bussola
Il business degli aeroporti è colossale. Una stima di 8 miliardi l'anno e migliaia di posti di lavoro. Limitare l'attività di uno scalo provoca perdite per gli enti di gestione, le compagnie aeree e le società di servizi. Così succede che a Milano Linate, aeroporto simbolo dopo il disastro del 2001, per non riparare un probabile guasto sulla pista da quasi un anno gli aerei sono autorizzati a decollare con le bussole in tilt.
La segnalazione è di pochi giorni fa, sul sito Internet del Comitato 8 ottobre, fondato dai familiari delle 118 vittime della strage. È firmata dallo staff tecnico del comitato, sostenuto da Arturo Radini e Vittorio Floridia, tra i massimi esperti nelle indagini sugli incidenti. L'inconveniente riguarderebbe soltanto la famiglia degli Md80, lo stesso tipo di aereo coinvolto nel disastro del 2001 e impiegato anche da Alitalia e Meridiana. Secondo l'indagine conclusa nel dicembre 2007 dall'Istituto geografico militare, "si può supporre che all'origine ci siano delle correnti parassite generate dagli impianti della pista". Un guasto o un mal funzionamento: "L'effetto di tutto ciò si genera in disturbi elettromagnetici che si propagano ai sensori magnetici collocati sulle estremità alari".
Le conseguenze delle interferenze sulle bussole proseguono anche ad alta quota: fino a 15 minuti dopo il decollo, più di un quarto del tempo di volo tra Milano e Roma. Per tutto questo periodo il pilota automatico degli aerei è fuori uso e i comandanti devono proseguire la rotta manualmente affidandosi ad apparati ausiliari, come il sistema satellitare Gps. 'L'espresso' ha chiesto ad alcuni equipaggi di Md80 quali conseguenze potrebbe provocare il mancato funzionamento del pilota automatico: "Nel caso di emergenza grave al decollo come avviso di fuoco in stiva, in cabina o nella zona del cono di coda, con necessità di rientro immediato e con visibilità inferiore ai 400 metri", è la risposta, "l'atterraggio sarebbe impossibile
senza pilota automatico. E il raggiungimento di un aeroporto alternativo e senza nebbia potrebbe risultare fatale". Linate si prepara così ad affrontare un altro inverno e la solita intensità di traffico. Che l'aeroporto milanese sia pericoloso, lo sostiene il presidente di Enac, Vito Riggio: "Personalmente sarei per chiudere Linate", aveva annunciato in un convegno organizzato nel 2006 proprio dal Comitato 8 ottobre, "ma tutti i parlamentari e uomini d'affari hanno detto: ma è uno scherzo? Linate è sicuro per definizione". E allora si parte. Con le bussole in tilt. F. G.
(13 novembre 2008)
BANDIERA NERA
di Fabrizio Gatti
Un giro di soldi usciti dalle casse di Alitalia. E finiti alla famiglia di un ex parlamentare di Alleanza nazionale. È una delle partite occulte intorno al futuro della compagnia di bandiera. La stanno giocando un onorevole in pensione, sua moglie, un commerciante di abbigliamento, una società con la sede a pochi passi dal Parlamento e l'Enac, la massima autorità che regola il trasporto aereo. A modo loro, formano la pattuglia aeronautica del governo: un comitato di uomini delle istituzioni e consulenti targato An, che si è fatto largo grazie all'ombrello del presidente della Camera, Gianfranco Fini e del ministro dei Trasporti, Altero Matteoli. Ultima missione: sponsorizzare il passaggio verso la Cai di Roberto Colaninno e salvare la faccia a Silvio Berlusconi, nonché il destino di AirOne, la società di Carlo Toto. Il risultato lo si è visto nelle ultime settimane quando l'Enac ha tentato di impedire che i gestori degli aeroporti chiedessero il pignoramento degli aerei Alitalia.
L'uomo chiave della lunga mano del partito di Fini è un ex calciatore della Lazio che in questi tempi sta cercando di accreditarsi tra i consiglieri personali di Roberto Colaninno. Si chiama Luigi Martini e anche se ha appena 59 anni, può contare su due pensioni: una da ex parlamentare e una da ex comandante Alitalia. Martini indossa la maglia biancoceleste quando nel 1974 la Lazio vince lo scudetto. Proprio in quegli anni manifesta le sue simpatie avvicinandosi al Movimento sociale italiano. E nel partito della destra nazionale incontra Gianfranco Fini.
Da comandante Alitalia, Luigi Martini viene eletto due volte in Parlamento. E come massimo esperto di An nel settore va a sedersi fino al 2006 nella commissione Trasporti della Camera. È qui che mette a segno il gol politico più importante. Nel 2003 il governo deve rinnovare i vertici di Enac. A Silvio Berlusconi va bene come presidente Vito Riggio, un professore siciliano ex democristiano, consulente del ministro alle Infrastrutture, Pietro Lunardi. E come direttore generale, carica ben più importante di quella di presidente, Berlusconi e Lunardi vogliono Carlo Damiani, uno dei più attivi progettisti di aeroporti. I giochi sembrano fatti. Invece no: lo scontro nel governo dura tre mesi. E soltanto in luglio il ministro Lunardi annuncia le nomine. Il presidente è Vito Riggio. Ma il direttore generale di Enac, incarico affidato per decreto dal presidente del Consiglio, è uno sconosciuto ai più: Silvano Manera, ex pilota militare ed ex iscritto alla Cgil, fino a quei giorni quality manager di Alitalia dove per anni è stato responsabile della sicurezza. È il nome imposto da Fini, allora vicepresidente del Consiglio. Manera, 62 anni, diventa così il direttore generale che oggi sta gestendo sul filo del codice civile la questione Alitalia: dal minacciato ritiro della licenza alla compagnia alla lettera contro i pignoramenti.
Perché Fini ha imposto proprio lui? Nella compagnia di bandiera raccontano che Luigi Martini volesse un suo uomo. Manera era già stato apprezzato nel centrodestra. Da manager Alitalia aveva studiato l'apertura del collegamento Roma-Albenga voluto dallo staff del ministro ligure Claudio Scajola. Anche se Albenga è un aeroporto pericoloso quando è coperto dalle nuvole. Ma c'è un altro credito che Martini può incassare in quei giorni: l'assunzione in Alitalia di un copilota nel 2002, l'unico preso durante il blocco delle assunzioni. È il figlio di Altero Matteoli, allora ministro all'Ambiente.
Martini e Matteoli si conoscono da tempo. Sono toscani. E a Orbetello, dove l'attuale ministro dei Trasporti è sindaco, la famiglia Martini ha una casa. Un'altra spiegazione però può essere trovata in via del Leoncino 16, a Roma, a pochi passi dal Parlamento. In un elegante palazzo sopra Ciampini, la gelateria degli onorevoli, ci sono gli uffici di una consulente coinvolta in uno scandalo nello scandalo Alitalia. È la moglie di Martini, Cristina Casadio, 57 anni. Nel 2004 si scopre che il disastrato bilancio della compagnia versa soldi alla moglie dell'onorevole, responsabile Trasporti di Alleanza nazionale. Un contratto per attività non meglio precisate di "monitoraggio parlamentare". E la notizia finisce sui giornali. Quello che ancora nessuno immagina è chi sia il socio di Cristina Casadio: un commerciante romano di abbigliamento che non ha nessuna esperienza con il mondo aeronautico, se non l'amicizia fin dall'infanzia con l'uomo più potente del settore, Silvano Manera, direttore generale di Enac. Vito Latrofa, questo il nome del commerciante, 64 anni, entra in società con la moglie dell'onorevole Martini il primo ottobre 2003. Lo stesso giorno in cui Manera assume l'incarico di direttore generale. E secondo gli atti di un processo davanti al Tribunale civile di Roma, non sarebbe una coincidenza.
Nella causa, avviata su questioni private, si sostiene che Vito Latrofa sia il prestanome del direttore generale di Enac. E per accertarlo è stato chiesto l'intervento della Guardia di finanza. Gli interessati smentiscono. Ma se fosse così, Alitalia avrebbe versato soldi a una consulente che è moglie del responsabile di An ai Trasporti. Ed è in affari con il direttore generale voluto da Alleanza nazionale al vertice di Enac: l'uomo che con una sua firma può condizionare le trattative per la rinascita o la fine di Alitalia.
(13 novembre 2008)
Il business degli aeroporti è colossale. Una stima di 8 miliardi l'anno e migliaia di posti di lavoro. Limitare l'attività di uno scalo provoca perdite per gli enti di gestione, le compagnie aeree e le società di servizi. Così succede che a Milano Linate, aeroporto simbolo dopo il disastro del 2001, per non riparare un probabile guasto sulla pista da quasi un anno gli aerei sono autorizzati a decollare con le bussole in tilt.
La segnalazione è di pochi giorni fa, sul sito Internet del Comitato 8 ottobre, fondato dai familiari delle 118 vittime della strage. È firmata dallo staff tecnico del comitato, sostenuto da Arturo Radini e Vittorio Floridia, tra i massimi esperti nelle indagini sugli incidenti. L'inconveniente riguarderebbe soltanto la famiglia degli Md80, lo stesso tipo di aereo coinvolto nel disastro del 2001 e impiegato anche da Alitalia e Meridiana. Secondo l'indagine conclusa nel dicembre 2007 dall'Istituto geografico militare, "si può supporre che all'origine ci siano delle correnti parassite generate dagli impianti della pista". Un guasto o un mal funzionamento: "L'effetto di tutto ciò si genera in disturbi elettromagnetici che si propagano ai sensori magnetici collocati sulle estremità alari".
Le conseguenze delle interferenze sulle bussole proseguono anche ad alta quota: fino a 15 minuti dopo il decollo, più di un quarto del tempo di volo tra Milano e Roma. Per tutto questo periodo il pilota automatico degli aerei è fuori uso e i comandanti devono proseguire la rotta manualmente affidandosi ad apparati ausiliari, come il sistema satellitare Gps. 'L'espresso' ha chiesto ad alcuni equipaggi di Md80 quali conseguenze potrebbe provocare il mancato funzionamento del pilota automatico: "Nel caso di emergenza grave al decollo come avviso di fuoco in stiva, in cabina o nella zona del cono di coda, con necessità di rientro immediato e con visibilità inferiore ai 400 metri", è la risposta, "l'atterraggio sarebbe impossibile
senza pilota automatico. E il raggiungimento di un aeroporto alternativo e senza nebbia potrebbe risultare fatale". Linate si prepara così ad affrontare un altro inverno e la solita intensità di traffico. Che l'aeroporto milanese sia pericoloso, lo sostiene il presidente di Enac, Vito Riggio: "Personalmente sarei per chiudere Linate", aveva annunciato in un convegno organizzato nel 2006 proprio dal Comitato 8 ottobre, "ma tutti i parlamentari e uomini d'affari hanno detto: ma è uno scherzo? Linate è sicuro per definizione". E allora si parte. Con le bussole in tilt. F. G.
(13 novembre 2008)
BANDIERA NERA
di Fabrizio Gatti
Un giro di soldi usciti dalle casse di Alitalia. E finiti alla famiglia di un ex parlamentare di Alleanza nazionale. È una delle partite occulte intorno al futuro della compagnia di bandiera. La stanno giocando un onorevole in pensione, sua moglie, un commerciante di abbigliamento, una società con la sede a pochi passi dal Parlamento e l'Enac, la massima autorità che regola il trasporto aereo. A modo loro, formano la pattuglia aeronautica del governo: un comitato di uomini delle istituzioni e consulenti targato An, che si è fatto largo grazie all'ombrello del presidente della Camera, Gianfranco Fini e del ministro dei Trasporti, Altero Matteoli. Ultima missione: sponsorizzare il passaggio verso la Cai di Roberto Colaninno e salvare la faccia a Silvio Berlusconi, nonché il destino di AirOne, la società di Carlo Toto. Il risultato lo si è visto nelle ultime settimane quando l'Enac ha tentato di impedire che i gestori degli aeroporti chiedessero il pignoramento degli aerei Alitalia.
L'uomo chiave della lunga mano del partito di Fini è un ex calciatore della Lazio che in questi tempi sta cercando di accreditarsi tra i consiglieri personali di Roberto Colaninno. Si chiama Luigi Martini e anche se ha appena 59 anni, può contare su due pensioni: una da ex parlamentare e una da ex comandante Alitalia. Martini indossa la maglia biancoceleste quando nel 1974 la Lazio vince lo scudetto. Proprio in quegli anni manifesta le sue simpatie avvicinandosi al Movimento sociale italiano. E nel partito della destra nazionale incontra Gianfranco Fini.
Da comandante Alitalia, Luigi Martini viene eletto due volte in Parlamento. E come massimo esperto di An nel settore va a sedersi fino al 2006 nella commissione Trasporti della Camera. È qui che mette a segno il gol politico più importante. Nel 2003 il governo deve rinnovare i vertici di Enac. A Silvio Berlusconi va bene come presidente Vito Riggio, un professore siciliano ex democristiano, consulente del ministro alle Infrastrutture, Pietro Lunardi. E come direttore generale, carica ben più importante di quella di presidente, Berlusconi e Lunardi vogliono Carlo Damiani, uno dei più attivi progettisti di aeroporti. I giochi sembrano fatti. Invece no: lo scontro nel governo dura tre mesi. E soltanto in luglio il ministro Lunardi annuncia le nomine. Il presidente è Vito Riggio. Ma il direttore generale di Enac, incarico affidato per decreto dal presidente del Consiglio, è uno sconosciuto ai più: Silvano Manera, ex pilota militare ed ex iscritto alla Cgil, fino a quei giorni quality manager di Alitalia dove per anni è stato responsabile della sicurezza. È il nome imposto da Fini, allora vicepresidente del Consiglio. Manera, 62 anni, diventa così il direttore generale che oggi sta gestendo sul filo del codice civile la questione Alitalia: dal minacciato ritiro della licenza alla compagnia alla lettera contro i pignoramenti.
Perché Fini ha imposto proprio lui? Nella compagnia di bandiera raccontano che Luigi Martini volesse un suo uomo. Manera era già stato apprezzato nel centrodestra. Da manager Alitalia aveva studiato l'apertura del collegamento Roma-Albenga voluto dallo staff del ministro ligure Claudio Scajola. Anche se Albenga è un aeroporto pericoloso quando è coperto dalle nuvole. Ma c'è un altro credito che Martini può incassare in quei giorni: l'assunzione in Alitalia di un copilota nel 2002, l'unico preso durante il blocco delle assunzioni. È il figlio di Altero Matteoli, allora ministro all'Ambiente.
Martini e Matteoli si conoscono da tempo. Sono toscani. E a Orbetello, dove l'attuale ministro dei Trasporti è sindaco, la famiglia Martini ha una casa. Un'altra spiegazione però può essere trovata in via del Leoncino 16, a Roma, a pochi passi dal Parlamento. In un elegante palazzo sopra Ciampini, la gelateria degli onorevoli, ci sono gli uffici di una consulente coinvolta in uno scandalo nello scandalo Alitalia. È la moglie di Martini, Cristina Casadio, 57 anni. Nel 2004 si scopre che il disastrato bilancio della compagnia versa soldi alla moglie dell'onorevole, responsabile Trasporti di Alleanza nazionale. Un contratto per attività non meglio precisate di "monitoraggio parlamentare". E la notizia finisce sui giornali. Quello che ancora nessuno immagina è chi sia il socio di Cristina Casadio: un commerciante romano di abbigliamento che non ha nessuna esperienza con il mondo aeronautico, se non l'amicizia fin dall'infanzia con l'uomo più potente del settore, Silvano Manera, direttore generale di Enac. Vito Latrofa, questo il nome del commerciante, 64 anni, entra in società con la moglie dell'onorevole Martini il primo ottobre 2003. Lo stesso giorno in cui Manera assume l'incarico di direttore generale. E secondo gli atti di un processo davanti al Tribunale civile di Roma, non sarebbe una coincidenza.
Nella causa, avviata su questioni private, si sostiene che Vito Latrofa sia il prestanome del direttore generale di Enac. E per accertarlo è stato chiesto l'intervento della Guardia di finanza. Gli interessati smentiscono. Ma se fosse così, Alitalia avrebbe versato soldi a una consulente che è moglie del responsabile di An ai Trasporti. Ed è in affari con il direttore generale voluto da Alleanza nazionale al vertice di Enac: l'uomo che con una sua firma può condizionare le trattative per la rinascita o la fine di Alitalia.
(13 novembre 2008)
Milano - 20/11/2008