Comitato 8 Ottobre - Per non dimenticare

Sua Eminenza Cardinal Carlo Maria Martini è tornato al Padre

"L’angoscia non serve a nulla se non provoca le opere. Occorre dunque rimboccarsi le maniche e fare ciascuno ciò che è possibile per gli altri”. Cardinale C.M.Martini

 

-       8 Ottobre 2001- L’aeroporto di Linate è un distaccamento dell’inferno: l’aereo della SAS e il deposito bagagli in fiamme, 118 morti.

Si poteva pensare che Iddio avesse smarrito la Sua pazienza con un ambiente trasandato e persone menefreghiste.

E’ merito di Sua Eminenza Cardinal Carlo Maria Martini se noi, famigliari basiti da tanta tragedia, ci trovammo al cospetto di un Giusto che ci esortava a credere ed accettare la realtà che cambiava il corso della vita a tante famiglie.

Quei momenti sono indelebili dentro di noi. Certo,il dolore vive sempre, il danno è irreversibile, ma dopo quasi undici anni, come dall’insegnamento di Sua Eminenza, preghiamo Dio perché quella pena sia di incoraggiamento e stemperi nello struggimento le difficoltà che sono la sostanza stessa della vita.

Oggi, commossi, ricordiamo Sua Eminenza. Seppe darci la forza di camminare in un momento in cui ci sentimmo distrutti, spazzati via da un evento indescrivibile per la sua tragicità.

A Lui dobbiamo tutto ciò che il Comitato prima, e la “Fondazione 8 Ottobre 2001 per non dimenticare” poi, ha potuto e saputo fare.

 

GRAZIE PADRE!

 

Ricordiamo qui di seguito l’omelia che il Card. Martini tenne durante la messa di suffragio al Duomo di Milano il 13 Ottobre 2001.

 

Milano - Duomo - 13/10/2001
Omelia nella messa in suffragio per le vittime dell'incidente aereo a linate

Accogli, Padre, nella tua pace questi nostri fratelli e sorelle

Abbiamo ascoltato la lettura dal vangelo secondo Luca che, parlando della morte di Gesù, dice: "Il sole si eclissò e si fece buio su tutta la terra…"

Questi momenti di buio ritornano nella storia. Poco più di un mese fa una simile notte ha coperto con le sue tenebre tanti nostri fratelli e sorelle degli Stati Uniti a causa dei tragici attentati terroristici. E' stata una giornata nera nella storia dell'umanità, la cui memoria ha riunito tanti di noi in una preghiera di suffragio e di intercessione proprio l'altro ieri.

Ma ecco che anche vicino a noi, in quello che ritenevamo un aeroporto tranquillo e senza problemi, un luogo atto a collegare senza pericoli la nostra Milano con tante città europee e del mondo intero, una tragica serie di errori, negligenze, fatalità (sulle quali indagano le autorità competenti) ci ha fatto entrare improvvisamente lunedì scorso in una situazione di buio, di lacrime, di lacerazioni e di lutti.

Tutti coloro che hanno visto da vicino la distruzione che si è verificata nello spazio di pochi secondi hanno ancora nella mente una visione spaventosa di dolore e di morte. Una morte che ha strappato all'affetto dei loro cari persone di tutte le età e di diversi paesi europei, dai bambini agli adulti, giovani sposi, figli teneramente amati, genitori, amici, tutti passeggeri che erano saliti sull'aereo con tanta serenità e fiducia, e poi piloti e personale di bordo che pensavano di offrire un viaggio gradevole, come anche operatori aeroportuali intenti al loro lavoro di ogni giorno. Ciascuno dei parenti e familiari qui presenti potrebbe raccontare quanti legami di vita e di amore, di amicizia e di lavoro, di affetti e di speranze siano stati stroncati in quei pochi secondi di terrore.

Per questo siamo qui in tanti per dire ai familiari delle vittime la nostra condivisione di tanto dolore: dal Presidente della Repubblica, che salutiamo con deferenza e ringraziamo per la sua partecipazione, alle altre autorità civili e militari, nazionali e locali, insieme con i rappresentanti delle comunità civili dei paesi scandinavi e di altri paesi europei e con le autorità religiose, presbiteri e vescovi cattolici, pastori luterani e anglicani. Davanti al mistero della morte ci sentiamo tutti solidali con il medesimo destino umano e bisognosi di stringerci gli uni agli altri per trovare conforto. Sentiamo di dover dire anche una parola di riconoscenza a coloro che si sono prodigati nei soccorsi.

In realtà, di fronte alla tragedia di una vita stroncata, soprattutto se in maniera improvvisa e violenta, noi tutti siamo come smarriti e senza parole. Non c'è ragione logica di una morte e di una tale morte, se non la nostra fragilità esistenziale e i nostri errori. Dal punto di vista umano emerge l'imperativo che tali errori mai più si ripetano e che un fatto così drammatico obblighi ciascuno dei responsabili a un impegno solenne perché siano evitate in futuro simili tragedie.

Ma dal punto di vista degli affetti troncati tutto ciò non basta, non restituisce nulla dei volti che ci sono stati sottratti. Sentiamo che le parole umane non bastano, ci sentiamo come muti e senza respiro. Ed è per questo che abbiamo bisogno di parole diverse. Di parole come quelle che abbiamo sentito proclamare nel vangelo : cioè che Gesù, il figlio di Dio, posto anch'egli dinanzi a questo momento supremo della sua esistenza, ha detto: "Padre, nelle tue ,mani consegno il mio spirito". E' solo in questa consegna del nostro spirito a Colui che ha in sé la potenza della vita che noi potremo sentire qualche pace e conforto e ritrovare quella comunione con i nostri cari che è stata brutalmente interrotta.

Per questo la lettura dell'Apocalisse ci ha consegnato una consolante profezia: "Il "Dio con loro" tergerà ogni lacrima dai loro occhi, non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento né affanno". Queste parole sono anzitutto vere per coloro che non vediamo più in mezzo a noi. La speranza che ha in tanti modi segnato la loro vita nei momenti di maggiore autenticità è quel piccolo seme che ha generato in essi la scoperta dell'amore di Dio per loro, l'esperienza della prontezza al perdono di Colui che ci è Padre, la sua accoglienza di una vita troncata agli occhi degli uomini ma rigenerata dalla sua potenza.

Le prime reazioni spontanee di ciascuno di noi alla notizia di una tale tragedia è sempre un perché ansioso e talora ossessivo: perché questo, perché proprio a lui, perché proprio a me? L'ho sentito ripetere questo 'perché' proprio lunedì scorso mentre cercavo di ascoltare i familiari dei defunti, di offrire una preghiera e qualche gesto di conforto. Mi pareva allora di udire i lamenti sofferti di Giobbe nella sua lotta con un Dio che gli appariva ingiusto e persecutore. Ma è dal tumulto di questi pensieri che proprio colui che è l'immagine di ogni dolore umano, cioè Giobbe, esclama, come abbiano ascoltato nella prima lettura: "So che il mio Vendicatore si ergerà sulla polvere, so che vedrò Dio, io lo vedrò, io stesso…". Forse noi facciamo fatica a dire queste parole: ci appaiono lontane e vaghe. Ma i nostri cari defunti hanno un cuore più grande del nostro, proprio perché passato per la prova e purificato nel fuoco della sofferenza e queste parole le intendono.

Per questo possiamo sentirli anche ora misteriosamente presenti e oranti con noi di fronte a quel mistero della morte che non è mai l'ultima parola della storia. Quel momento, per chi crede, diviene il segno di un passaggio che ci consente di sperare ancora anche in mezzo al buio di una notte che sembra voler tutto sommergere nel lamento senza fine. Perciò troviamo la forza di dire: Padre, nelle tue mani affidiamo il nostro e il loro spirito; Padre, accogli questi nostri fratelli e sorelle nella tua pace. Padre, dona a tutti gli uomini propositi di pace.


Cardinale Carlo Maria Martini

 

    Milano - 01/09/2012